ACQUARIUS RACCONTI LIQUIDI CON PANNA

Racconti, poesie, pensieri, prosodie, ricordi e anche immagini, video, musica. Liquidi come possono essere i sogni, la memoria, lo svolgersi dei pensieri, la realtà che sfugge a definizioni e limiti. Con panna perchè è bello essere golosi. Di tutto.

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Wednesday, February 03, 2010

IL PROFESSOR ADEN E’ IN PIEDI...

Il professor Aden è in piedi, nudo, al centro della stanza e guarda il muro. Sono le sei del mattino e ha dormito poco. Bofonchia piano e biascica. Ha sognato per 3 ore di essere in classe a interrogare i suoi studenti liceali. ” Cialtroni.. ” La sua voce cresce in un suono di animale furioso e spaventato. Cialtroni maledetti cialtroni.. asini .” Apre e chiude aritmicamente i pugni e continua a muovere le dita come se stesse sbriciolando qualcosa, le nocche pallide, grigie e venate di un blu sbiadito. Anche il suo corpo ha un colore spento, opaco. Ma contro il biancore sporco e macchiettato del muro, disegnato da sottili segni e parti di colore graffiato via, la sua sagoma immobile spicca come se si fosse impressa sulla parete. Sembra di sentire un rosario strozzato, che esce a forza dalla gola e dal petto. Nervi e muscoli fiaccati dall’età sono tesi in quella rabbia. E’ di nuovo il militare possente e l’insegnante autoritario che è stato per tanto tempo. Ha la memoria lucida e presente e i riflessi pronti a reagire.
L’appartamento è un desolato paesaggio di scatole impilate. Il trasloco. Ci sono state altre partenze, se le ricorda una per una, con i bauli neri e verdi, caricati sulle navi, sui treni con gli scompartimenti di legno. E sempre quella mesta smobilitazione attorno. Anche i mobili sono stati allineati, come se fossero in coda per uscire dalla porta di casa. Plastica a pallini per proteggerli, scotch marrone. Ovunque si giri lo sguardo, riquadri più chiari sul muro. In quello più minuto, era appesa il ritratto di sua madre Dagmar, con la gonna lunga, la giacchetta col colletto più chiaro e lo chignon tirato, a scoprire due occhi scuri penetranti. Verso quel piccolo esile rettangolo lattiginoso il professore ha uno scatto, parte all’attacco, marziale. Muove passi veloci e poi si ferma. Si gira dall’altra parte, verso l’angolo opposto e così senza preavviso comincia a piangere. Goffamente, mentre il suo corpo si affloscia e si rimpicciolisce fino a sembrare un ragazzino spaventato piscia contro le pareti scrostate. Fuori dall’appartamento la vicina di casa sta cercando di far entrare la chiave nella serratura, ma non ci riesce, perché Aden ha lasciato la sua dentro. Annabianca suona il campanello e batte con la mano spalancata.
“Professore, professore, cosa la mi fa oh professore, apra la porta che si deve fare. Oggi si deve fare… l’iniezione. La medicina. E poi c’è il trasloho. I nipoti, professore. Hanno chiamato tanto ier sera. E come mai. Si deve risponder al telefono.”
“ Troia. Vacca.” Pensa e dice piano Aden. E aspetta. Forse se ne andrà.
Invece a forza di insistere freneticamente e spingere, si sente il tintinnio metallico e la chiave cade dalla piccola feritoia. La vicina spalanca gli occhi sul professore nudo. Spalanca la bocca. Corre ad aprire le imposte. La stanza, i mobili si fanno invisibili, immersi come sono nella luce accecante di un mattino terso, là fuori .
“ Una così bella giornata” dice Annabianca e continua a tenere la bocca aperta sulla A che è anche AH professore cos’HA professore. Tiene le mani aperte come se dovesse prenderlo tra le braccia e cullarlo ma sul viso ha una smorfia di disagio e la bocca è all’ingiù in una piega di paura e di disprezzo. Aden va verso la camera da letto, gira il sedere magro e non risponde. E la vicina dietro, perché ha preso coraggio.
“ Eh, questa l’è la vecchiaia cattiva, professore. Non dia pena ai figlioli, ai nipoti. Si deve ubbidire, da bravo. Dove sono i vestiti, via, ecco i calzoni, le calze, prima le mutande. E poi giù, la pasticca, che poi se lo vole c’e’ il the.”
Aden ingurgita la capsula gialla. Si fa sistemare la camicia dentro i pantaloni di flanella. Più tardi la puntura, la minestra e poi la doccia. Domani arriva la ditta che porta via tutto: il trasloco.
“Deve essere contento professore, che poi i nipoti la portano in campagna, con loro.
In cucina Aden ha ammassato nuovi contenitori vuoti di uova e di latte appoggiati su giornali vecchi. Annabianca li arraffa con un sospiro.
“Vecchio rimbambito” pensa “fa un magazzino di spazzatura e rifiuti, meno male, fra poco è finita e via. I vecchi non possono stare soli, non possono. Meglio l’ospizio. Anch’io per me voglio la casa per gli anziani. Metto da parte che ci sarà bisogno di soldi.”
“Vacca.” pensa il professore e la guarda di sbieco. “ Si è presa i denari…” Ma abbozza un sorriso solo con la bocca, tirando più che può i muscoli del viso per sembrare gentile e accetta la tazza di the.
Sono in pedi in cucina a bere dalle chicchere di ceramica cinese. Annabianca sorbisce aspirando rumorosamente il liquido, in modo ritmico. Per Aden quel fruscio liquido è come una coltellata nel cuore. “Maleducata... Ha frugato nei miei nascondigli quella mentecatta. Pescava, tra le mie cose sul tavolo e dalle buste, fingendo interesse per il latino, il sorrisetto di Giuda, con lo straccio a mezz’aria ... zoticona, rustica, analfabeta ahh ... de rustica progenie, sempre villana fuit! E quella mania della pulizia.. a scartabellare tra i fogli, tra i notes di appunti... a scovare qualcosa nelle librerie, con la scusa degli acari. Altro che acari ,perbacco, andava a cercare il denaro, sì che lo andava a cercare ... con la scusa della pulizia.. homo homini lupus… ladra e impicciona, maledetta…
A mezzogiorno arriva la minestra di verdure, prima l’iniezione. Aden non esce di casa oggi. Rimane a fissare i riquadri bianchi sul muro. Domani c’è il trasloco. Si toglie di nuovo i vestiti e resta in piedi vicino al letto con i pugni chiusi. Più tardi c’è la doccia. Come al militare. Come tutti giorni. Usus efficacissimus rerum omnium magister. Pensa. Domani c’è il trasloco. Chi l’ha deciso il trasloco?
Così apre la porta di casa, bianco, grigio, denudato e grida, grida sulle scale con tutta la voce che ha in corpo: Sia ben chiaaaroo che ioooo, da quiiiii non mi muoooovoooo... Non mi muovo, non mi muovo, non mi muovo”.
Annabianca corre e guarda dallo spioncino. Ascolta. Dal salotto arriva la voce del marito. “Il professore è di nuovo nudo?” Non si sente altro che l’eco, nell’androne, della voce di Aden, in sottofondo il suono indistinto dei televisori accesi. E poi un tac. Silenzio. Tac: la porta di Aden che si chiude.
“Non mi piasce” Annabianca è in pedi vicina alla poltrona del marito.
“La notte prima del trasloco il professore un dorme”. aggiunge
“Lascia perdere via, l’è una bischerata, poi si quieta.” Sbadiglia il marito.
Annabianca torna alla porta. Ascolta il silenzio. Ma non si decide ad andare a dormire. “Quanti guai, quanti guai, signore, oh che croce quest’uomo. E mi dispiace per lui, come se mi fosse un parente.” Mormora, stropicciando la camicia da notte di flanella. Strascicando le pianelle, va in cucina. Apre appena la finestra, da lì si vede il riquadro illuminato di quella di Aden. Tende di nuovo l’orecchio, con la testa tra i due battenti, guarda verso la luce in cerca di indizi e aspetta. Non sa perché.
“Giù, vieni a dormire, è tardi, Bianca, o via…” Il marito di Annabianca alza appena la voce, come un giocatore stanco che ha perso la partita. Poi spegne la luce dell’abat-jour sul comodino e sospira. E dopo pochi minuti quasi contemporaneamente, Annabianca vede il riquadro della finestra del professore animarsi e la luce quasi fiammeggiare, sente un singhiozzo, simile a un rutto e parole vomitate a scatti.
“Oh vergine santa, professore!”
Aden sta scaraventando le scatole in cortile. Libri, oggetti, presi dagli scatoloni si abbattono sul piccolo marciapiedi di fronte alle piante.
“Cicero pro domo sua, quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini. Filistei siete tutti filistei... senza dignità...” Aden sbraita piangendo. “Che vergogna, che vergogna, che vergogna…”
Annabianca gli fa eco, svegliando il marito, che a tentoni cerca il telefono.
“Oh Mezzetti, Mezzetti, Dio mio, chiama l’ambulanza, i pompieri, oh Vergine santa professore, professore per carità…” La vicina rimane così, sospirando e mugolando, con le mani sulla bocca, davanti alla finestra, mentre fuori vola di tutto e altre finestre si aprono. Si sentono tapparelle che si arrotolano e spuntano teste arruffate, sul cortile.
E una specie di cascata di improperi e frasi interrogative si riversa nel cortile: “… Ma che succede... ma chiamiamo i carabinieri... domani, domani se ne va, c’è il trasloho, ah il trasloho, meno male il trasloho… Arrivano i pompieri e l’ambulanza. La gente è per le scale, che si sporge dalle balaustre, e dai corrimano, alcuni sono riuniti davanti alla porta di Annabianca, di fronte all’appartamento di Aden. “Tutto distrutto, con l’odio di un povero cane idrofobo… E chi c’entra lì dentro, con quella furia...” dice qualcuno.
Arriva un pompiere e prova a suonare. Ma sono già pronti a a usare la forza. La porta blindata è un problema, forse dalla finestra. “Ma da quel pertugio, come fate?” dice un altro. “Apra la porta” intima il capo dei vigili ad Annabianca, “su, apra con la chiave. E la porta si apre, non è nemmeno chiusa con le mandate. Il professore si volta, le cornee iniettate di sangue, verso tutti quegli occhi spalancati che scandagliano come raggi laser ed emette un rantolo, un singulto di bambino, ricacciato tra le ombre della gola. E i vigili entrano, insieme ai barellieri.
“Bisogna avvisare i parenti!“ dice il capo pompiere. Aden viene tirato via quasi dolcemente, come un burattino senza scheletro, accasciandosi tra quelle braccia forti e frettolose, totalmente indifferenti al contatto.
“Ah, sì, i nipoti” dice Annabianca “Poveri nipoti, povere anime, povero professore...”
Si sentono i suoni delle ricetrasmittenti e frasi mozze qua e là provenire dalla sala operativa. Il professor Aden viene rivestito e portato via in barella. I vigili recintano il mucchio informe lanciato nel cortile con una sottile striscia bianca e rossa. Tutti tornano alla spicciolata verso le proprie case. “Domani si vedrà cosa recuperare, da quel cumulo di cose, poi arriveranno i parenti. Sono stati chiamati? Sì, sono stati informati, partono stanotte, domattina sono qui.“ Ancora qualcuno si è attardato a scambiare quattro chiacchiere.
Per quasi tutto il tempo Annabianca non ha mai staccato la mano dalla bocca. Si siede in cucina, la finestra è ancora aperta. Per molte notti ha guardato quel riquadro di luce proveniente dalla stanza del professore, sentendosi montare dentro oscuri presagi. Il marito le porge dell’acqua, dopo aver bevuto dallo stesso bicchiere.
“A che ora vengono i nipoti?“ chiede ”La porta dell’Aden è chiusa? Ci mancherebbe rubassero proprio stasera, che poi la colpa è nostra… se ci son valori...”
“No, non ci son valori... non c’è nulla...” Annabianca toglie la mano dalla bocca per bere. Ha uno sguardo glaciale, di un marrone opaco, torbido. Fissa il marito per un momento. “Non c’è nulla, andiamo a dormire.”
Il condominio è tutto scuro, anche quel flebile faro, la luce sempre accesa di Aden chino sulle versioni latine, per notti intere, è spenta. C’è una brezza quasi primaverile che scompone i fogli mischiati in cortile e accarezza delicatamente la carta.

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