ACQUARIUS RACCONTI LIQUIDI CON PANNA

Racconti, poesie, pensieri, prosodie, ricordi e anche immagini, video, musica. Liquidi come possono essere i sogni, la memoria, lo svolgersi dei pensieri, la realtà che sfugge a definizioni e limiti. Con panna perchè è bello essere golosi. Di tutto.

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Thursday, July 30, 2009


Dal Taccuino fotografico VENEZIA LIQUID STORIES di Marfeda

(Dal taccuino fotografico Wooden Parts di Marfeda)


SONO A ROMA PER IL PRIMO MAGGIO.. (racconto)

Ce l’ho fatta. Sono a Roma per il primo maggio. Andrò al concerto a piazza San Giovanni. Sotto le scarpe ho il pavimento della stazione Termini e i pilastri di pietra grigia mi sfilano ai lati. Che bello sembra che siano lì per salutarmi. La Stazione è una centrifuga di braccia gambe facce saluti e richiami: incespico tra tutte quelle valige a rotelle e borsoni maneggiati con slancio da una spalla all’altra. Ho fame ma devo risparmiare. Non ho molti soldi: per pagarmi il viaggio ho dovuto mettere insieme anche un paio di prestiti. Mi comprerò un bel pezzo di pizza rossa.
Dietro via XX Settembre c’è una gastronomia che sforna prelibatezze e costa poco. Mi sembra strano non incontrare subito qualcuno di conosciuto lì in mezzo a tutta la gente. Continuo a guardare i volti aspettando con ansia di riconoscerne uno abbracciarlo. Ma sono tutti estranei. Sento salire una sottile bolla da dentro lo stomaco, densa di angoscia. Poi mi passa perché fuori c’è un sole magnifico e la luce arriva a ondate come riflettori in movimento lungo l’ampio rettangolo che porta all’uscita. Appena fuori cerco gli occhiali da sole. Davanti a me c’e’ una costruzione grigia scura che svetta da dietro una casa più bassa gialla. Sembra una montagna controluce. Di nuovo quella sensazione buia di peso addosso, guardando al di là dell’isolato. Svicolo tra le bancarelle, mi distraggo, sposto i pensieri come se li prendessi con le dite e li appoggiassi dietro di me e mi dirigo spedita verso il cibo. Non c’è da aspettare: mi impacchettano la pizza, profumata e calda in una carta da pane marrone. Compro anche dell’acqua ed esco quasi danzando dal negozio. Non mi manca nulla. Ho tutto. Una frenesia pulsante in corpo, come un guizzo sotto la pelle che si accorda al battito del cuore. Mi sento forte, mi metto a camminare, giro veloce la testa da una parte all’altra, le gambe si sollevano senza peso. Tra poco arriverò in piazza. Alla fermata dell’autobus vedo un gruppo di ragazzi con bandiere coi colori della pace. Sorrido, aprendo la bocca, con gli occhi che scintillano. Va bene il 724 chiedo per San Giovanni? Si si mi fanno loro e si rimettono a parlare fitto. Continuo a sorridere beatamente. Loro sono molto occupati con le loro bandiere, stanno prendendo accordi e mi ignorano. Sull’autobus c’è una signora carica di sporte e sacchetti. Parla da sola. Canta la canzone del Piave. Il piave mormorò, il piave mormorò… vai fuori dai coglion.. vai fuori dai coglion.. Una libera interpretazione. Penso e mi diverte. Vorrei commentare ma intorno tutti guardano fisso davanti a sé e l’autista la zittisce con uno aho ma statte bona. Però mi fa pena. Guardo i sacchetti consumati, ai lati e lungo le maniglie, scoloriti, da cui quasi straborda una confusione di oggetti irriconoscibili. Ha l’aria di chi ha dormito male, le borse sotto gli occhi, dei segni neri sotto le orbite. E’ grassa e la pelle ha ceduto alla vita in strada. E’ flaccida e spenta. Mi verrebbe di chiederle di venire anche lei al concerto. Dirle: “Sa pensavo di non farcela a venire qui. Fino all’ultimo sembrava proprio impossibile, non mi volevano far partire..” Ma non dico niente perché mi sento stupida e insieme comincio a provare repulsione. Nel frattempo l’autobus si è riempito di altre bandiere colorate, rosse e di striscioni scritti: Un primo maggio per il lavoro. Basta con le morti bianche. Il lavoro è un diritto. Basta con il precariato. E mi dimentico della donna. Mi scordo di tutto. La mia pizza schiacciata nella borsa a tracolla mi comunica tutto il suo calore contro la coscia. Quando scendo, sono ancora lontana da San Giovanni, la fermata è stata spostata, in una via laterale. E quando entro la piazza è già colma di folla. Cerco ancora facce conosciute. Troverò prima o poi qualche amico mi dico. Impossibile che in mezzo a tutte queste persone non incontri un amico. Ma niente. Sono tanti, siamo tanti, che importa ,mi dico sono qui ce l’ho fatta. Arriva Khaled sul palco, e i tamburi di Portici cominciano a suonare e cantare. E’ una piazza immensa. Quante volte, in questi ultimi anni l’ho vista seduta in poltrona alla tivvù, con lo stomaco attorcigliato in uno spasimo di felicità e una inconfessata soffusa tristezza per non essere lì. E dal salotto ho cantato, e gridato iuhu iuhu , stando attenta a non disturbare i vicini a causa del volume alto.
Khaled con i tamburi di Portici attaccano a suonare e cantare. In mezzo, spintonata e rimbalzata vedo Napoli e il Magreb lisciare e rullare le percussioni infilandosi tra le voci. Poi gira il palco e salgono Mauro Pagani e il Supergruppo con i pezzi dei King Crimsom e dei Rolling Stones . Poi Daniele Silvestri intona i Beatles Paperback writer e la Paranza sanremese, “una danza, una danza che si balla nella latitanza con prudenza, eleganza …” Si alzano tutti i piedi e le mani della piazza. Oscillano le teste davanti e ai miei lati . Le Vibrazioni. Gli Afterhours. Assordante. Ho la sensazione di bere, con tutto il corpo. Mi sento urlare con tutto il fiato. Iuhu iuhu. Un prodigioso salto in avanti nel tempo e indietro per me che ho persino lasciato a casa il bastone e non mi serve. Non mi serve, non ne ho avuto bisogno. A settantanni in questa piazza. I ricordi amari di questa città messi in un sacchetto e buttati via in un cestino della Stazione. La malattia e l’agonia di mia madre, che abitava proprio a pochi passi da lì, dietro quell’isolato della casa gialla. E la mia vita di pensionata piuttosto povera, con amici pensionati depressi dal caro vita. E’ un sogno all’incontrario, come sta cantando Paolo Rossi, il sogno di prolungare il sogno. Che tutto cambierà, si tutto cambierà e ci fermeremo per strada con un largo sorriso. Oh my darling oh don’t you cry for me… mia cara non piangere per me. Non vi preoccupate per me amici che mi avete sconsigliato di partire. Io sono qui. E sto bene. E stanotte riprenderò il treno della notte, gli interciy che costano meno così risparmio. Mangerò l’ultimo pezzo di pizza, guardando sfilare i pali della luce e i puntini luminosi fuori dal finestrino, accomodata sul sedile allungabile e sfondato del treno. Fino al momento in cui mi piomberà il sonno sugli occhi.

Tuesday, July 28, 2009


La locandina di uno spettacolo del 1970, tenuto al Teatro dell'Arte a Milano. Come dire che la storia della musica è anche questo: tante parti colorate, forti, d'un grande affresco collettivo d'arte e di passione
Scrive Norman Zoia:

A proposito di Claudio Rocchi, abbiamo fatto uno spettacolo al Teatro dell'Arte nel 1970 e fu proprio lui con alcune sue amiche a fare la coreografia per la mia canzone dedicata a Brian Jones, è stato uno spettacolo più che innovativoe principalmente lo si è dovuto alla lungimiranza del direttore artistico di allora, pensa un po': Cino Tortorella ..

Sunday, July 26, 2009


TUTTIFRUTTI dell'artista performer NORMAN ZOIA (tecnica mista: olio su tela del 1993, trattato con craquelè nel 1994 e rielaborato in digitale nel 1996).

Friday, July 24, 2009




IL MARE
IN ETERNA PAZIENZA
ASCOLTA PENSIERI
INUTILI
CHE PAIONO IMMENSI
E AVVOLGE
LE COSCIENZE ALLA DERIVA.

Wednesday, July 22, 2009