ACQUARIUS RACCONTI LIQUIDI CON PANNA

Racconti, poesie, pensieri, prosodie, ricordi e anche immagini, video, musica. Liquidi come possono essere i sogni, la memoria, lo svolgersi dei pensieri, la realtà che sfugge a definizioni e limiti. Con panna perchè è bello essere golosi. Di tutto.

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Thursday, September 22, 2011

ASPETTANDO LA FINE DEL MONDO.

Ho visto il fim di Abel Ferrara presentato alla mostra del cinema a Venezia intitolato "4.44" (ora della fine del mondo) . Una coppia attende la fine del mondo. Li vediamo la sera prima della fine. Nel loro grande loft in cima alla città. Non fanno nulla se non continuare nell'ormai inutile quotidiano. Il film secondo la mia modesta opinione è una occasione mancata ma mi ha fatto tornare ancora a quello che continuo a pensare in qusti giorni e ormai da molto tempo. E oltre che pensare mi ha fatto sentire nuovamente ancora e ancora il silenzio.
Silenzio. Mi colpisce, il silenzio. Come un muro. Quà e là in questo nostro paese saccheggiato dai barbari, come al tempo degli Unni si odono urla e proteste. Qualcuno protesta. Staziona davanti a Montecitorio da mesi, sciopero della fame e contenuti forti per la legalità e l'equità sociale. Si lotta quà e là contro il potere efferato delle banche e dalla finanziarizzazione dell'economia. Si lotta e si sciopera contro quelle che ormai per semplificare chiamiamo caste. Un potere economico e politico colluso con tutto il peggio che l'uomo abbia inventato.L'avidità del potere, l'economia capitalista che stritola le sue risorse umane, pedine come animali da tiro. Sono immagini arcaiche ammantate di modernizzazione e cablate dai fili del web, trasmesse dalle mille istantanee che possiamo vedere ovunque sui nostri schermi blu. Ma le proteste sono troppo poche, sembrano non scalfire quel muro di silenzio e di narcotizzata umanità indifferente. Le proteste sono troppo poche, valorose, sofferte incazzate, spontanee, esasperate. Colme di speranza e di dolore, lucide, di gente, di persone. Ma sono troppo poche le proteste.E' proprio vero che ci possiamo abituare a tutto? Che l'uomo nella sua capacità di adattarsi può vivere ogni giorno peggio, cercando di respirare come sommerso dal fango in quei pocchi millimetri che restano pima dell'asfissia? E' paura? Paura di accorgersi e rendersi conto che davvero stiamo franando come una inondazione di detriti, una valanga inarrestabile che tutto travolge e porta con sè? Davvero qualcuno pensa di salvarsi da solo? Di scappare in qualche luogo sicuro? Che tutto questo non lo riguarda e riguarderà gli altri? E' confortante sperare che non sarai tu a perire. Che non ti riguarda. Molto rassicurante. Una specie di follia collettiva, che appanna i sensi e altera il senso di realtà. E quale realtà? Quale luogo? Forse ancora certa televisione dove il tempo si è fermato tra piagnistei populisti e odio verso i migranti di tutto il mondo e il diverso? E in tutta questa enorme ignoranza che ci circonda, che ci permea e ci avvolge, in quest'assenza di realtà nuotiamo esterefatti. Incapaci di capire. Non stanno colpendo noi. Stanno colpendo qualcun'altro, lontano da noi. Meno male. A noi non succederà. Ancora per un po' potremo andare felici all'ipermercato, alle serate di shopping, alle feste, al mare e lasciare lontano, lontano da noi, le fabbriche chiuse, le scuole chiuse, le classi di 50 studenti, gli anziani senza servizi sociali, l'assenza di futuro,la mancanza di risposte. Invecchiamo. Un paese vecchio ripiegato su se stesso che odia i giovani e i bambini e le famiglie e non se ne accorge. La casta tutte queste cose le sa. Si gioca al webpoker della borsa le nostre vite che per le aziende di rating se non possiamo più consumare non contano nulla.Forse siamo morti e non sappiamo ancora di esserlo. Forse siamo tutti dentro un enorme acquario boccheggianti e increduli. Scarafaggi che scappano in cerca di un angolo buio. La mente rifiuta l'evidenza. E tutti ci chiediamo come mai le proteste sono poche, seduti nelle nostre case ascoltando il silenzio, mentre la fuori infuriano le passerelle della moda, in attesa dell'expo. Non aspettiamo Godot. Aspettiamo la fine del mondo alla finestra.