ACQUARIUS RACCONTI LIQUIDI CON PANNA

Racconti, poesie, pensieri, prosodie, ricordi e anche immagini, video, musica. Liquidi come possono essere i sogni, la memoria, lo svolgersi dei pensieri, la realtà che sfugge a definizioni e limiti. Con panna perchè è bello essere golosi. Di tutto.

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Saturday, February 27, 2010

Da L'AGENTE IMMOBILIARE

(CAPITOLO 5)


.....
Lorenzo arriva stanchissimo all’aeroporto di Venezia. Percepisce immediatamente il sentore familiare della laguna: salmastro con retrogusto di alghe e muffa. E’ un odore amico che odia ed ama. Una mano umida che gli strofina dolce il viso, che lo rincuora e lo aiuta a riordinare i pensieri. E’ arrivato dall’Afganistan con una grande quantità di foto scattate, forse le ultime, che ritraggono una desolante devastazione sullo sfondo di turbanti neri. Ma la sua attenzione è catturata dal ricordo di Olivier. Per tutto il viaggio di ritorno gli è parso di sentirselo addosso, perfettamente adattato alla sua pelle. Ha in corpo una specie di tamburo che continua a rullare. Gli vengono in mente i suoi occhi verdi. L’ultima volta che si erano visti, prima della sua partenza, Olivier gli aveva comunicato di aver accettato l’invito di un tizio conosciuto poco tempo prima, che gli aveva offerto un viaggio in Martinica.
- Non dovevi venire a Venezia per qualche giorno? Aveva obbiettato Lorenzo.
- Beh verrò un'altra volta… tanto l’invito è sempre valido no?
Si erano fronteggiati come due lottatori, lo sguardo franco di Olivier che lo ispezionava quasi divertito.
- Certo. E’ sempre valido.
Lorenzo era rimasto in silenzio. Non aveva nessuna intenzione di mostrare la sua delusione. Non voleva insistere. Cedere. Dirgli Vieni. Ti prego, vieni che non sto più nella pelle. Vieni da me che ho bisogno di toccarti..
Stava sperimentando per la prima volta la sensazione di avere ingoiato un intero cespuglio di spine che gli devastavano lo stomaco e si sentiva un sudore acido spumeggiare sulla schiena.
Mentre aspetta il battello che lo porti a casa al Lido prova a chiamare Olivier al telefono. Così. Pensa di chiamarlo per farsi del male. E' sicuro che non risponderà.
Se lo immagina al sole, in spiaggia con il tizio, un pubblicitario dal fisico molto curato, gli aveva detto Olivier sarcastico e si sente un perfetto coglione mentre compone comunque il numero sulla tastiera.
Il segnale di connessione gli penetra nell’orecchio e gli sembra fortissimo. Gli pare che lo possano sentire tutti quelli che gironzolano nei pressi dell’imbarco. Il telefono di Olivier è acceso e a Lorenzo manca il coraggio di fare quella telefonata.
- Ciao Lorenzo. Il tono di Olivier è gentile, sembra quasi grato. - Ben tornato a casa dal paese degli orrori. -
Lorenzo sente tutta la tensione scendere giù dalle sue spalle verso le gambe come una cascata d’acqua che corre verso il basso e anche la sua voce corre verso il basso, quasi un sospiro roco.
- Grazie. Com’è il tempo in Martinica?
- Bellissimo.
- Ovvio in Martinica è sempre bello.
Mentre Lorenzo fa uscire la propria voce spingendo sul diaframma, perché proprio non vuole uscire, riesce anche a pensare merda più volte e di se stesso coglione-stronzo . Vorrebbe anche confessare a Olivier, ma che stupido a non dirti subito quanto avrei voluto trovarti al mio ritorno magari ad aspettarmi in aeroporto e poi correre a casa e ….
-E’ vero – sta rispondendo Olivier – è un peccato, per il tempo dico, perché alla fine, non ci sono andato.
- Non sei partito?
- Eh no.. - Olivier ride - Sei ancora li?
- Si - Lorenzo si sente appeso ad una parete liscia senza appigli in caduta libera, una specie di o di beatitudine.
- E quindi stai ...qui.. non i vai più...
- No, non parto... perchè... in fondo in Martinica ci sono già stato ..
- Beh ma allora parti, cioè no.. vieni qui, vieni da me , non è la Martinica ma .. Olivier. Vuoi.. vedermi?
Scandisce molto bene il nome di lui e tutta la frase perché non crede di aver avuto il fegato per quelle parole tutte insieme .
- Voglio dire non vedo l’ora di …e
- Certo che voglio vederti , sennò avrei accettato l'invito, cosa te ne sembra?
Lorenzo pensa di aver sognato tutto. Prende il motoscafo mettendo semplicemente un piede dietro aggrappato ai pesi dello zaino e delle macchine fotografiche. L’odore salmastro gli sembra ancora più dolce e balsamico e la nebbiolina che lo avvolge gli addolcisce la pelle seccata dal sole e dalla lunga permanenza in aereo.
A casa sua, Olivier si mette a ridere, così, da solo con il telefono in mano e il vecchio gatto Joe che lo apostrofa con sonori mraahh , per ricordargli che è quasi ora di andare a dormire.
Non è solo ora dormire è anche ora di sognare... finalmente.. l'ultima volta risaliva a troppi anni prima.
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Keith Haring, peintre américain né en 1958 a débuté par des études de graphisme publicitaire. Commençant par dessiner sur les murs du métro, il expose finalement dans plusieurs galeries new-yorkaises prestigieuses, notamment chez Tony Shafrazi et Léo Castelli. A partir de 1984, il développe une symbolique colorée, liée au monde des médias et se distingue en créant une iconographie unique, aux formes synthétisées soulignées de noir. Outre son style graphique facilement identifiable, son immense popularité s'explique par sa prédilection pour des supports hors normes accessibles à tous : le métro, les murs de la ville, les réverbères, jusqu'aux produits dérivés qu'il commercialise lui-même.
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William Kentridge



William Kentridge artista sudafricano, ha le sue radici a Johannesburg, dove è nato nel 1955 e dove continua a vivere e a creare la maggior parte delle sue opere.
Le sue opere esplorano le infinite tessiture della propria memoria personale e di quella collettiva per analizzare i conflitti di una società globalizzata. Pittura, disegno, bozzetti, installazioni, films che diventano video:Kentridge utilizza in modo affascinante tutte le tecniche per rappresentare l'umanità nelle sue pieghe più fragili e profonde.








The Bohemian rhapsody



(Mercury)
Is this the real life?
Is this just fantasy?
Caught in a landslide,
No escape from reality
Open your eyes, Look up to the skies and see,
I'm just a poor boy, I need no sympathy,
Because I'm easy come, easy go, Little high, little low,
Any way the wind blows doesn't really matter to me, to me
Mama I just killed a man,
Put a gun against his head, pulled my trigger, now he's dead
Mama, life had just begun,
But now I've gone and thrown it all away
Mama, ooh, Didn't mean to make you cry,
If I'm not back again this time tomorrow,
Carry on, carry on as if nothing really matters
Too late, my time has come,
Sends shivers down my spine, body's aching all the time
Goodbye, ev'rybody, I've got to go,
Gotta leave you all behind and face the truth
Mama, ooh, I don't want to die,
I sometimes wish I'd never been born at all
I see a little silhouetto of a man,
Scaramouche, Scaramouche, will you do the Fandango
Thunderbolt and lightning, very, very fright'ning me
(Galileo) Galileo (Galileo) Galileo, Galileo figaro
Magnifico I'm just a poor boy and nobody loves me
He's just a poor boy from a poor family,
Spare him his life from this monstrosity
Easy come, easy go, will you let me go
Bismillah! No, we will not let you go
(Let him go!) Bismillah! We will not let you go
(Let him go!) Bismillah! We will not let you go
(Let me go) Will not let you go
(Let me go) Will not let you go (Let me go) Ah
No, no, no, no, no, no, no
(Oh mama mia, mama mia) Mama mia, let me go
Beelzebub has a devil put aside for me, for me, for me
So you think you can stone me and spit in my eye
So you think you can love me and leave me to die
Oh, baby, can't do this to me, baby,
Just gotta get out, just gotta get right outta here
Nothing really matters, Anyone can see,
Nothing really matters,
Nothing really matters to me
Any way the wind blows

Friday, February 19, 2010

Esecuzione magistrale dei mitici Elio E Le Storie Tese nel brano tratto dall'opera di Gioacchino Rossini "il Barbiere di Siviglia", intitolato "Largo Al Factotum".



Sunday, February 07, 2010



Dall' album VOL. III di Fabrizio De Andrè. Adattamento musicale al sonetto di Cecco Angiolieri. Il testo riportatato è il sonetto originale. Nel brano è modificato.

S'i fosse fuoco, arderei 'l mondo;
s'i fosse vento, lo tempestarei;
s'i fosse acqua, i' l'annegherei;
s'i fosse Dio, mandereil' en profondo;
s'i fosse papa, allor serei giocondo,
ché tutti cristiani imbrigarei;
s'i fosse 'mperator, ben lo farei;
a tutti tagliarei lo capo a tondo.
S'i fosse morte, andarei a mi' padre;
s'i fosse vita, non starei con lui;
similemente faria da mi' madre.
Si fosse Cecco com'i' sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le zoppe e vecchie lasserei altrui.



Testo:
Cantami di questo tempo
l'astio e il malcontento
di chi è sottovento
e non vuol sentir l'odore
di questo motor
che ci porta avanti
quasi tutti quanti
maschi , femmine e cantanti
su un tappeto di contanti
nel cielo blu

Figlia della famiglia
sei la meraviglia
già matura e ancora pura
come la verdura di papà

Figlio bello e audace
bronzo di Versace
figlio sempre più capace
di giocare in borsa
di stuprare in corsa tu
moglie dalle larghe maglie
dalle molte voglie
esperta di anticaglie
scatole d'argento ti regalerò

Ottocento
Novecento
Millecinquecento scatole d'argento
fine Settecento ti regalerò

Quanti pezzi di ricambio
quante meraviglie
quanti articoli di scambio
quante belle figlie da sposar
e quante belle valvole e pistoni
fegati e polmoni
e quante belle biglie a rotolar
e quante belle triglie nel mar

Figlio figlio
povero figlio
eri bello bianco e vermiglio
quale intruglio ti ha perduto nel Naviglio
figlio figlio
unico sbaglio
annegato come un coniglio
per ferirmi, pugnalarmi nell'orgoglio
a me a me
che ti trattavo come un figlio
povero me
domani andrà meglio

Ein klein pinzimonie
wunder matrimonie
krauten und erbeeren
und patellen und arsellen
fischen Zanzibar
und einige krapfen
frùer vor schlafen
und erwachen mit walzer
und Alka-Seltzer fùr
dimenticar

(Un piccolo pinzimonio
splendido matrimonio
cavoli e fragole
e patelle ed arselle
pescate a Zanzibar
e qualche krapfen
prima di dormire
ed un risveglio con valzer
e un Alka-Seltzer per
dimenticar.)

Quanti pezzi di ricambio
quante meraviglie
quanti articoli di scambio
quante belle figlie da sposar
e quante belle valvole e pistoni
fegati e polmoni
e quante belle biglie a rotolar
e quante belle triglie nel mar.

Wednesday, February 03, 2010

IL PROFESSOR ADEN E’ IN PIEDI...

Il professor Aden è in piedi, nudo, al centro della stanza e guarda il muro. Sono le sei del mattino e ha dormito poco. Bofonchia piano e biascica. Ha sognato per 3 ore di essere in classe a interrogare i suoi studenti liceali. ” Cialtroni.. ” La sua voce cresce in un suono di animale furioso e spaventato. Cialtroni maledetti cialtroni.. asini .” Apre e chiude aritmicamente i pugni e continua a muovere le dita come se stesse sbriciolando qualcosa, le nocche pallide, grigie e venate di un blu sbiadito. Anche il suo corpo ha un colore spento, opaco. Ma contro il biancore sporco e macchiettato del muro, disegnato da sottili segni e parti di colore graffiato via, la sua sagoma immobile spicca come se si fosse impressa sulla parete. Sembra di sentire un rosario strozzato, che esce a forza dalla gola e dal petto. Nervi e muscoli fiaccati dall’età sono tesi in quella rabbia. E’ di nuovo il militare possente e l’insegnante autoritario che è stato per tanto tempo. Ha la memoria lucida e presente e i riflessi pronti a reagire.
L’appartamento è un desolato paesaggio di scatole impilate. Il trasloco. Ci sono state altre partenze, se le ricorda una per una, con i bauli neri e verdi, caricati sulle navi, sui treni con gli scompartimenti di legno. E sempre quella mesta smobilitazione attorno. Anche i mobili sono stati allineati, come se fossero in coda per uscire dalla porta di casa. Plastica a pallini per proteggerli, scotch marrone. Ovunque si giri lo sguardo, riquadri più chiari sul muro. In quello più minuto, era appesa il ritratto di sua madre Dagmar, con la gonna lunga, la giacchetta col colletto più chiaro e lo chignon tirato, a scoprire due occhi scuri penetranti. Verso quel piccolo esile rettangolo lattiginoso il professore ha uno scatto, parte all’attacco, marziale. Muove passi veloci e poi si ferma. Si gira dall’altra parte, verso l’angolo opposto e così senza preavviso comincia a piangere. Goffamente, mentre il suo corpo si affloscia e si rimpicciolisce fino a sembrare un ragazzino spaventato piscia contro le pareti scrostate. Fuori dall’appartamento la vicina di casa sta cercando di far entrare la chiave nella serratura, ma non ci riesce, perché Aden ha lasciato la sua dentro. Annabianca suona il campanello e batte con la mano spalancata.
“Professore, professore, cosa la mi fa oh professore, apra la porta che si deve fare. Oggi si deve fare… l’iniezione. La medicina. E poi c’è il trasloho. I nipoti, professore. Hanno chiamato tanto ier sera. E come mai. Si deve risponder al telefono.”
“ Troia. Vacca.” Pensa e dice piano Aden. E aspetta. Forse se ne andrà.
Invece a forza di insistere freneticamente e spingere, si sente il tintinnio metallico e la chiave cade dalla piccola feritoia. La vicina spalanca gli occhi sul professore nudo. Spalanca la bocca. Corre ad aprire le imposte. La stanza, i mobili si fanno invisibili, immersi come sono nella luce accecante di un mattino terso, là fuori .
“ Una così bella giornata” dice Annabianca e continua a tenere la bocca aperta sulla A che è anche AH professore cos’HA professore. Tiene le mani aperte come se dovesse prenderlo tra le braccia e cullarlo ma sul viso ha una smorfia di disagio e la bocca è all’ingiù in una piega di paura e di disprezzo. Aden va verso la camera da letto, gira il sedere magro e non risponde. E la vicina dietro, perché ha preso coraggio.
“ Eh, questa l’è la vecchiaia cattiva, professore. Non dia pena ai figlioli, ai nipoti. Si deve ubbidire, da bravo. Dove sono i vestiti, via, ecco i calzoni, le calze, prima le mutande. E poi giù, la pasticca, che poi se lo vole c’e’ il the.”
Aden ingurgita la capsula gialla. Si fa sistemare la camicia dentro i pantaloni di flanella. Più tardi la puntura, la minestra e poi la doccia. Domani arriva la ditta che porta via tutto: il trasloco.
“Deve essere contento professore, che poi i nipoti la portano in campagna, con loro.
In cucina Aden ha ammassato nuovi contenitori vuoti di uova e di latte appoggiati su giornali vecchi. Annabianca li arraffa con un sospiro.
“Vecchio rimbambito” pensa “fa un magazzino di spazzatura e rifiuti, meno male, fra poco è finita e via. I vecchi non possono stare soli, non possono. Meglio l’ospizio. Anch’io per me voglio la casa per gli anziani. Metto da parte che ci sarà bisogno di soldi.”
“Vacca.” pensa il professore e la guarda di sbieco. “ Si è presa i denari…” Ma abbozza un sorriso solo con la bocca, tirando più che può i muscoli del viso per sembrare gentile e accetta la tazza di the.
Sono in pedi in cucina a bere dalle chicchere di ceramica cinese. Annabianca sorbisce aspirando rumorosamente il liquido, in modo ritmico. Per Aden quel fruscio liquido è come una coltellata nel cuore. “Maleducata... Ha frugato nei miei nascondigli quella mentecatta. Pescava, tra le mie cose sul tavolo e dalle buste, fingendo interesse per il latino, il sorrisetto di Giuda, con lo straccio a mezz’aria ... zoticona, rustica, analfabeta ahh ... de rustica progenie, sempre villana fuit! E quella mania della pulizia.. a scartabellare tra i fogli, tra i notes di appunti... a scovare qualcosa nelle librerie, con la scusa degli acari. Altro che acari ,perbacco, andava a cercare il denaro, sì che lo andava a cercare ... con la scusa della pulizia.. homo homini lupus… ladra e impicciona, maledetta…
A mezzogiorno arriva la minestra di verdure, prima l’iniezione. Aden non esce di casa oggi. Rimane a fissare i riquadri bianchi sul muro. Domani c’è il trasloco. Si toglie di nuovo i vestiti e resta in piedi vicino al letto con i pugni chiusi. Più tardi c’è la doccia. Come al militare. Come tutti giorni. Usus efficacissimus rerum omnium magister. Pensa. Domani c’è il trasloco. Chi l’ha deciso il trasloco?
Così apre la porta di casa, bianco, grigio, denudato e grida, grida sulle scale con tutta la voce che ha in corpo: Sia ben chiaaaroo che ioooo, da quiiiii non mi muoooovoooo... Non mi muovo, non mi muovo, non mi muovo”.
Annabianca corre e guarda dallo spioncino. Ascolta. Dal salotto arriva la voce del marito. “Il professore è di nuovo nudo?” Non si sente altro che l’eco, nell’androne, della voce di Aden, in sottofondo il suono indistinto dei televisori accesi. E poi un tac. Silenzio. Tac: la porta di Aden che si chiude.
“Non mi piasce” Annabianca è in pedi vicina alla poltrona del marito.
“La notte prima del trasloco il professore un dorme”. aggiunge
“Lascia perdere via, l’è una bischerata, poi si quieta.” Sbadiglia il marito.
Annabianca torna alla porta. Ascolta il silenzio. Ma non si decide ad andare a dormire. “Quanti guai, quanti guai, signore, oh che croce quest’uomo. E mi dispiace per lui, come se mi fosse un parente.” Mormora, stropicciando la camicia da notte di flanella. Strascicando le pianelle, va in cucina. Apre appena la finestra, da lì si vede il riquadro illuminato di quella di Aden. Tende di nuovo l’orecchio, con la testa tra i due battenti, guarda verso la luce in cerca di indizi e aspetta. Non sa perché.
“Giù, vieni a dormire, è tardi, Bianca, o via…” Il marito di Annabianca alza appena la voce, come un giocatore stanco che ha perso la partita. Poi spegne la luce dell’abat-jour sul comodino e sospira. E dopo pochi minuti quasi contemporaneamente, Annabianca vede il riquadro della finestra del professore animarsi e la luce quasi fiammeggiare, sente un singhiozzo, simile a un rutto e parole vomitate a scatti.
“Oh vergine santa, professore!”
Aden sta scaraventando le scatole in cortile. Libri, oggetti, presi dagli scatoloni si abbattono sul piccolo marciapiedi di fronte alle piante.
“Cicero pro domo sua, quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini. Filistei siete tutti filistei... senza dignità...” Aden sbraita piangendo. “Che vergogna, che vergogna, che vergogna…”
Annabianca gli fa eco, svegliando il marito, che a tentoni cerca il telefono.
“Oh Mezzetti, Mezzetti, Dio mio, chiama l’ambulanza, i pompieri, oh Vergine santa professore, professore per carità…” La vicina rimane così, sospirando e mugolando, con le mani sulla bocca, davanti alla finestra, mentre fuori vola di tutto e altre finestre si aprono. Si sentono tapparelle che si arrotolano e spuntano teste arruffate, sul cortile.
E una specie di cascata di improperi e frasi interrogative si riversa nel cortile: “… Ma che succede... ma chiamiamo i carabinieri... domani, domani se ne va, c’è il trasloho, ah il trasloho, meno male il trasloho… Arrivano i pompieri e l’ambulanza. La gente è per le scale, che si sporge dalle balaustre, e dai corrimano, alcuni sono riuniti davanti alla porta di Annabianca, di fronte all’appartamento di Aden. “Tutto distrutto, con l’odio di un povero cane idrofobo… E chi c’entra lì dentro, con quella furia...” dice qualcuno.
Arriva un pompiere e prova a suonare. Ma sono già pronti a a usare la forza. La porta blindata è un problema, forse dalla finestra. “Ma da quel pertugio, come fate?” dice un altro. “Apra la porta” intima il capo dei vigili ad Annabianca, “su, apra con la chiave. E la porta si apre, non è nemmeno chiusa con le mandate. Il professore si volta, le cornee iniettate di sangue, verso tutti quegli occhi spalancati che scandagliano come raggi laser ed emette un rantolo, un singulto di bambino, ricacciato tra le ombre della gola. E i vigili entrano, insieme ai barellieri.
“Bisogna avvisare i parenti!“ dice il capo pompiere. Aden viene tirato via quasi dolcemente, come un burattino senza scheletro, accasciandosi tra quelle braccia forti e frettolose, totalmente indifferenti al contatto.
“Ah, sì, i nipoti” dice Annabianca “Poveri nipoti, povere anime, povero professore...”
Si sentono i suoni delle ricetrasmittenti e frasi mozze qua e là provenire dalla sala operativa. Il professor Aden viene rivestito e portato via in barella. I vigili recintano il mucchio informe lanciato nel cortile con una sottile striscia bianca e rossa. Tutti tornano alla spicciolata verso le proprie case. “Domani si vedrà cosa recuperare, da quel cumulo di cose, poi arriveranno i parenti. Sono stati chiamati? Sì, sono stati informati, partono stanotte, domattina sono qui.“ Ancora qualcuno si è attardato a scambiare quattro chiacchiere.
Per quasi tutto il tempo Annabianca non ha mai staccato la mano dalla bocca. Si siede in cucina, la finestra è ancora aperta. Per molte notti ha guardato quel riquadro di luce proveniente dalla stanza del professore, sentendosi montare dentro oscuri presagi. Il marito le porge dell’acqua, dopo aver bevuto dallo stesso bicchiere.
“A che ora vengono i nipoti?“ chiede ”La porta dell’Aden è chiusa? Ci mancherebbe rubassero proprio stasera, che poi la colpa è nostra… se ci son valori...”
“No, non ci son valori... non c’è nulla...” Annabianca toglie la mano dalla bocca per bere. Ha uno sguardo glaciale, di un marrone opaco, torbido. Fissa il marito per un momento. “Non c’è nulla, andiamo a dormire.”
Il condominio è tutto scuro, anche quel flebile faro, la luce sempre accesa di Aden chino sulle versioni latine, per notti intere, è spenta. C’è una brezza quasi primaverile che scompone i fogli mischiati in cortile e accarezza delicatamente la carta.