ACQUARIUS RACCONTI LIQUIDI CON PANNA

Racconti, poesie, pensieri, prosodie, ricordi e anche immagini, video, musica. Liquidi come possono essere i sogni, la memoria, lo svolgersi dei pensieri, la realtà che sfugge a definizioni e limiti. Con panna perchè è bello essere golosi. Di tutto.

Montaggio creato Bloggif

Monday, June 08, 2009

Recensione di Millionaire, pubblicata su Patria, di SERENA D'ARBELA

Nel feuilleton del Millionaire le contraddizioni dell’India globale

di Serena D’Arbela

Gran successo di pubblico, commovente,a lieto fine, oggetto di numerose
stroncature della critica,Slumdog Millionaire (da noi The Millionaire)
di Danny Boyle regista di origine scozzese, già noto per Transpotting, ha
vinto gli Oscar 2009 realizzando otto nominations su dieci. Miglior film dell’anno
e miglior regia, sceneggiatura non originale, fotografia, montaggio, canzone,
suono, colonna sonora. Una storia ambientata nell’India di oggi.
Immagini psichedeliche di Mumbay (Bombay), turismo intorno ai monumenti sacri e spietata miseria, ragazzi laceri e mendicanti. Tratto dal romanzo best seller di Vikas Swarup Le dodici domande il film ci fa interrogare sulle ragioni dei consensi e sui gusti dei fruitori contemporanei. Forse non basta evocare la manipolazione
culturale in atto di masse senza confini, ormai preda di stili facili ed immediati, di gusti sempre più riduttivi, abituati alle fiction, soap opera e videoclip in sostituzione dei film. Non basta tener presenti le loro gratificazioni con l’impossibile, il fantastico, il virtuale, quanto più sono economicamente deluse. E non basta parlare di sensibilità verso i diseredati, verso l’infanzia sfruttata e vessata, verso la discriminazione delle donne nel terzo mondo e altrove.
A suo modo il film fa parte della globalizzazione che scardina e mescola distanze,
tradizioni, culture, esporta ed importa frammenti di mondi antichi e moderni a
fini d’incasso. Il linguaggio cinematografico di Boyle è esperto, di effetto, rapido e deciso e porta con sé trovate che scavalcano agilmente molte regole di verosi miglianza.La mistura nel pastone filmico di elementi fiabeschi primitivi e sempre suggestivi (il buono che vince contro i cattivi) di melodramma ottocentesco
e di gestualità criminali vecchie e nuove, di crudeltà arcaiche e contemporanee,
rendono accessibile a tutti la vicenda e alla fine consolatoria l’immagine
dell'India. «Se vuoi capirla – spiega Boyle – non devi cercare di risolvere i suoi
contrasti, devi abbracciarli». Egli assume l’idea orientale dell’accettazione della
sofferenza. Poi, seguendo la tradizione del melodramma, genere per eccellenza
dei film indiani, crea un giovane eroe dal piglio romantico, fedele all’amore per la
sua ragazza. In fondo secondo Boyle lo show a cui partecipa il suo Jamal Malik (Dev Patel) e la vicenda filmica «altro non sono che la cronaca di un sogno che si avvera». Ma nello stesso tempo, fra favola e realtà c’è un conflitto stridente che la bella colonna sonora di Allah Rakha Rahman alleggerisce o evidenzia lungo tutto il percorso. In una sequenza vediamo il ragazzino protagonista che si guadagna qualche rupia a guardia di un gabinetto posticcio e primitivo. Chiuso dentro per ripicca dal fratello Salim, esce attraverso la fogna per raggiungere l’attore preferito che plana con un elicottero. Pur così sporco e repellente ottiene l’autografo dalla star della Bollywood (la maggior industria cinematografica
indiana e mondiale) che firma in continuazione, senza neppure
guardare i suoi fan. La scena è emblematica. Escrementi e olimpo cinematografico:
tutto appartiene ad un unico sfondo in cui s’intrecciano gli opposti di indigenza
e ricchezza. Nelle sequenze, come in un grande frullatore, i pezzi della società indiana si fondono,urtano e si scheggiano, ma alcuni elementi restano interi. Il vissuto drammatico di Jamal che stona e insieme si adatta all’ambiente televisivo è in qualche modo uno specchio delle contraddizioni dell’India. Una convivenza mostruosa di elementi discordanti, un miscuglio torbido che è pista di lancio degli
affari e delle tecnologie e produzioni più avveniristiche attingendo al fattore povertà e forza-lavoro a infimo costo. La schiavitù moderna è fonte di ricchezza
per il capitale senza volto che prolifera a tutti i livelli e sfrutta perfino le bidonville come curiosità da offrire al turista. La storia del film è tipica della
condizione dei fuori-casta.Perduta la madre in un incendio attizzato da fanatici musulmani, il piccolo Malik (Azharuddin Mohammed Ismail) fugge dai bassifondi
col fratello Salid e l’amichetta Latika (l’espressiva Rubina Ali)sequestrati da trafficanti senza scrupoli. Mentre Salid (Madhur Mittal) diverrà un delinquente ribelle,ma di buon cuore, Jamal adolescente, approda, dopo molte peripezie, in un call-center come inserviente del the. Qui con un po’ di furbizia afferra la sua grande occasione.Riesce a farsi ammettere al Programma per diventare milionario
e dovrà rispondere a una serie di domande. Come ci riesce? Tutti se lo chiedono. Le sue risposte sono esatte non perché sia un genio o un imbroglione ma perché memorizzate dalla vita, come riflessi condizionati. La descrizione del format televisivo è puntuale e funziona da congegno filmico e narrativo, evocando episodi
del passato di Jamal. Sfilano quadri del mondo circostante, in cui regnano la fame, gli scontri religiosi e tribali, gli stupri, la prostituzione e la crudeltà malavitosa. Lo stile del regista, coadiuvato da Loveleen Tandan specialista del cinema indiano e dallo sceneggiatore Simon Beaufois si serve di un ritmo
dinamico molto attuale. Il film a metà fra la commedia e la tragedia è indiscutibilmente un prodotto confezionato su precise esigenze commerciali, rispettoso dei canoni produttivi di Bollywood con gli ingredienti delle lacrime
sugli orfani, del tradimento, dell’amore mitico e perfino del musical.
Le ingenuità narrative sono parecchie. Dalla facilità con cui Salid trova la pistola, allo spostamento dei piccoli fuggiaschi da Mumbay al Taj Mahal di Agra, meraviglia architettonica, distante dalla metropoli 1.204 km. Troppo agevolmente
poi riescono a liberarsi dalle mani dei boss. Lo stesso finale, il patetico abbraccio con Latika (da grande, Freida Pinto) alla stazione, in mezzo alla immensa folla, con in pugno l’assegno di 20 milioni di rupie è inverosimile. Nei grovigli
metropolitani ribollenti di teppa e di indifferenza è più facile sparire
che incontrarsi. E non basta a giustificarlo la predestinazione (“Era
scritto” ). Se la ragazza riesce a scappare grazie all’intervento di
Salid, ravveduto, ci si chiede come possa sfuggire alle spire di una organizzazione
potente. L’idea di Boyle è però di andare avanti comunque, anche con il suo
sguardo di estraneo occidentale, anche con errori, perché così, comunque,
si afferrano brani di realtà. Poco importa che la fattura del film sia concepita con astuzia. Levisioni di innocenti in mano a losche bande di trafficanti, di bimbi
accecati per essere avviati all’accattonaggio e ragazze in fiore imprigionate
nei bordelli acquistano un significato veritiero perché sappiamo
che ci sono. Il coraggio della disperazione di questa infanzia ci colpisce e sembra
riportarci al pauperismo descritto racchiude però una diversità. Mentre
i concorrenti a cui siamo abituati smaniano per “apparire”, egli si serve del trampolino televisivo solo per amore. Non mira ad integrarsi
nel sistema, non è avido di denaro, vuole vincere solo per liberare l’amata, schiava di un criminale.La sua scalata al milione nonè che l’anello successivo di n’esistenza
travagliata, disseminata di intralci, di dubbi, malgrado gli incoraggiamenti
dei fan. L’identikit di straccione torna sempre a galla.Anche il conduttore, che viene dalla gavetta, invidia il suo trionfo, cerca di sviarlo con falsi suggerimenti
e lo denuncia alla polizia.Ma Jamal resiste ai brutali interrogatori, che la dicono lunga sui metodidella Sicurezza a Mumbay. È innocente. Tira avanti pescando
nei sofferti ricordi: l’effigie di una banconota, la marca di un revolver
dai romanzi di Victor Hugo e di Charles Dickens da cui nacquero le proteste operaie e i movimenti di riscatto politico e sindacale dei due secoli scorsi. Immagine poi non così lontana, se ne ritroviamo gli echi anche da noi e in Europa nelle
zone di degrado dell’emigrazione clandestina. Riconosciamo anche come fenomeno globale le offerte di successo casuale. In tutto il mondo riempiono gli schermi tv le
chances di vincite mirabolanti capaci di trasformare in pochi minuti una vita. Una su tante. I programmi di “Chi vuol essere milionario?” sono di grande ascolto, diffusi ovunque. La figura del nostro protagonista racchiude però una diversità. Mentre i concorrenti a cui siamo abituatismaniano per “apparire”, egli
si serve del trampolino televisivo solo per amore. Non mira ad integrarsi
nel sistema, non è avido di denaro, vuole vincere solo per liberare
l’amata, schiava di un criminale. La sua scalata al milione non è che l’anello successivo di un’esistenza travagliata, disseminata di intralci, di dubbi, malgrado gli incoraggiamenti dei fan. L’identikit di straccione torna sempre a galla.
Anche il conduttore, che viene dalla gavetta, invidia il suo trionfo,
cerca di sviarlo con falsi suggerimenti e lo denuncia alla polizia.
Ma Jamal resiste ai brutali interrogatori, che la dicono lunga sui metodi
della Sicurezza a Mumbay. È innocente. Tira avanti pescando
nei sofferti ricordi: l’effigie di una banconota, la marca di un revol-
I giovani protagonisti in una sequenza del film.
dai romanzi di Victor Hugo e di Charles Dickens da cui nacquero le
proteste operaie e i movimenti di riscatto politico e sindacale dei due
secoli scorsi. Immagine poi non così lontana, se ne ritroviamo gli
echi anche da noi e in Europa nelle zone di degrado dell’emigrazione
clandestina. Riconosciamo anche come fenomeno globale le offerte
di successo casuale. In tutto il mondo riempiono gli schermi tv le
chances di vincite mirabolanti capaci di trasformare in pochi minuti
una vita. Una su tante. I programmi di “ver, una data, un luogo, il nome
del quarto Moschettiere di Dumas. Avanza con la forza del sentimento.
È certo che la sua ragazza lo vedrà in tv e lo raggiungerà.
La sua psicologia ricorda più quella di un personaggio ottocentesco
che di un rampollo del Duemila,soggetto ai modelli utilitaristici.
Jamal si contrappone alla corrente, mostra che ci si può opporre al destino,
inseguendo dei valori, contro la stessa logica della società.
Forse questo è il messaggio che riscatta il feuilleton e piace alla gente
comune, accanto alla sincerità gestuale dei piccoli attori presi dalla
strada, vittime di una condizione umana indegna, da cancellare.

No comments: